La tavolozza è essenziale, concentrata, così come sono essenziali gli stati dell’animo umano: ridotta all’unicità della materia, quando questa entra in contatto con lo spirito e per questo lo astrae, lo imprigiona. A volte per ridargli nuova vita, altre per scoprirne o nasconderne una.
Così la pittura accesa e toccata di Rosanna Mutinelli, s’inoltra con la densità e l’intensità che gli deriva dal proprio fare arte nei reconditi accessi di ciò che più intimo e inenarrabile perché quando il mistero dell’io è profondo ed inviolabile, soltanto la pittura può vederlo.
Le opere ci narrano allora di uno sguardo nascosto, celato, raccolto, a volte diretto ed enigmatico, altre aperto e doloroso. Uno sguardo monocromatico e simbolista che si concentra nella trama fitta del silenzio, come in una tela di Redon. Un silenzio urlato, che grida la propria impotenza e, nella sua stessa fragilità, tutta la sua forza. L’anima allora vorrebbe librarsi alta, come nel volo di un gabbiano, ma si ritrova imprigionata in un freddo abbraccio, solitario ed inespresso o gelido e violento, e ripiegandosi su stessa, si affaccia sullo svelamento di quell’aletheia, propria della pittura ma anche della filosofia, nella ricerca stessa della verità. La spatola allora colpisce la superficie, l’accarezza, la ferisce, lavora rapida e lenta, inquieta ed esitante, e il colore si stende e si avviluppa in un abbraccio che a volte sovrasta altre libera. Si scoprono allora infinite sfaccettature e la pura e dolorosa bellezza dell’essere donna, dell’essere anima e la percezione di afferrare l’inafferrabile e di giungere, sempre, fino ai confini del proprio essere, sulla fragile soglia di uno sguardo… altrove.